Giovanni Fattori   (Pagine 42 )      Fonte : Fattori - 1964

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\fs24 C'\'e8 una lettera di Giovanni Fattori all'amico Valerio Biondi che dice cos\'ec: \'ab Andare a chiedere in prestito 50 o 100 lire quando non si sa di renderle, non si pu\'f2 \emdash io cos\'ec la penso. Oggi mi trovo come mai trovato, con lire una e 25. Senza speranza di credito da nes\'acsuna parte... Quanta poesia ha l'arte! penso e penso... Dunque ho pensato se tu, mio buon amico, se tu dicevo ti prendessi l'incomodo e tu andassi da Beppe Malenchini che si \'e8 sempre interessato di me, e tu gli dicessi francamente come sto e tu lo pregassi di prendere quel quadretto per 50 lire, \'e8 regalato; e quelli studi, rivolgiti dove credi, per 20 lire e 30 tutt'e due fareste una cosa che in questi momenti riputerei una fortuna per me che, incominciando dal trattore, tutti segnano; altrimenti oggi sarebbe il caso, all'ora di colazione di spendere le una e 25, e dopo? Vedi a che ferri ci si trova dopo aver tanto lavorato! \'bb \par Questa lettera reca la data del 1887. Quando la scrisse, il pittore aveva gi\'e0 sessantadue anni. Molti dei suoi quadri maggiori e pi\'f9 belli erano gi\'e0 stati dipinti; ed era al punto della massima indigenza. \par Aveva contratto anche un debito di settemila lire, che gli toglieva serenit\'e0; e difatti all'amico Diego Martelli si confida con un senso di amarezza che commuove: \'ab Sono qui solo ed \'e8 la ora che tutti dormono, e io in questo silenzio non ho sonno e penso come far\'f2 e come sar\'f2 la mia fine. Lo consideri nulla? Settemila lire di debiti che io dovr\'f2 pagare!... \'bb E morir\'e0, nel 1908, senza averlo potuto saldare. Non solo: dovr\'e0 difendersi anche dalla minaccia che gli portino via persino il posto di professore all'Accademia di Firenze, perch\'e8 lo consideravano inadatto a fare l'insegnante, con le sue idee e soprattutto la sua pittura. \par Il suo primo ingresso all'Accademia risale al 1869; ma la nomina a professore effettivo verr\'e0 soltanto col 1880. La cultura ufficiale italiana ammetteva a denti stretti che un simile pittore potesse sedere a una cattedra accademica. Per cui la sua posizione di insegnante, che voleva dire un piccolo stipendio certo, rester\'e0 sempre incerta e precaria. \'c8 gi\'e0 noto l'episodio della visita di re Umberto nel 1878 all'Accademia fiorentina. Fattori nutr\'ec speranza di poterlo accogliere nel suo studio e di mostrargli il grande dipinto a cui stava lavorando, cio\'e8 Il quadrato di Villafranca, e di ottenerne, chiss\'e0? col compiacimento, anche l'acquisto e la conferiva autorevole per ricevere quella nomina a professore che da dieci anni tardava. C'\'e8 una lettera di Fattori a Francesco Gioli che descrive a meraviglia, fra l'ironico e l'amaro, quella visita: \par \'ab Ieri sera, tornando a casa come al solito, a ore 12 trovai un'imbasciata lasciata da Stefano Ossi che la mattina a buon'ora, prima delle 7, mi trovassi all'Accademia. Come al solito si dorme poco o si sogna Re, quadri, commissioni e che diavolo si sa mai; alle cinque e tre quarti in piedi, alle sei e mezzo all'Accademia, alle nove viene Sua Maest\'e0. Quando arriv\'f2, ero sulla porta solo \emdash scena, mi venne incontro dicendo: " Lei \'e8 il signor Fattori? L'avevo riconosciuto. I-Ia qui il suo quadro? "... Ci erano con lui Guidotti, il Prefetto, Desonnaz, Arrivabene e un Ufficiale di ordinanza. Vede il quadro: si volta (stretta di mano, si sa) e dice: " Ci ha poetizzati. " " Non credo, " rispondo io. Mi domanda se fui sulla localit\'e0: dico di s\'ec (ma l'ho veduta in sogno). A ci\'f2 che disse, somiglia lo stradone, ma pi\'f9 gelsi e pi\'f9 fitti: \emdash H quadrato era addossato a una casa. L'artiglieria sulla strada e dopo, morti 'di qua, morti di l\'e0, feriti, ulani ubriachi che si slanciavano sulla punta della baionetta, tanto vicini che erano alla portata della sua sciabola... perfino lui pare che desse un colpettino; tanti morti di cavalli e feriti che in un punto erano alti un metro... Gli dico io: " Dur\'f2 molto il combattimento? " " No," dice lui, " mezz'ora... " \par \'ab\tab Si trattenne tra osservare e ciarlare una mezz'ora buona; dopo si rallegr\'f2, strette di mano, si sa, e su da Ussi, tutti. Si entra da Ussi. Personaggi presentabili. Gelati con un viso di cera intorno al foco e con un fiato! di mattina presto (povero Re!): una veduta di Firenze, un quadro di paese. Sua Maest\'e0 guarda: presentazione, strette di mano ed inchini. Chelazzi, pittore di fiori: a Sua Maest\'e0 gli piacciono; compra due quadri piccoli: strette di mano, presentazioni, ringraziamenti e quattrocento franchi. \par \'ab\tab Uno scolaro di Ussi, non so chi \'e8, con una faccia da Jacopo Ortis, e con degli acquarelli fatti proprio con l'acqua, senza strette di mano e senza acquistare. \par \'ab\tab Tableau finale: Gelati con un muso lungo fino ai piedi; l'Ortis col suicidio vicino e con la rabbia contro il maestro perch\'e8 non fece nulla per lui. Chelazzi si volta a tutti, guarda tutti, ama tutti. Io rido... \par \'ab\tab Alla porta: popolo molto, grida di ragazzi stonate, congedo, ristrette di mano di Sua Maest\'e0 a me, a Ussi, che ci inchiniamo come i galantuomini; una ristretta di mano ad Arrivabene e al Prefetto che si inchinano ad angolo retto, guardandosi la punta delle scarpe... \'bb \par Quella fu una visita preparata da lungo tempo e il Martelli aveva scritto e riscritto ad amici influenti, come lo Zanardelli. Fattori si schermiva da uomo sem,plice e rustico qual era, sembrandogli un armegg\'eco poco dignitoso. Martelli, oltre a tener sveglia la memoria dei grossi personaggi suoi amici, doveva continuamente raccomandare al Fattori di vincere la repugnanza; e una volta dovette persino scrivergli da Parigi in modi bruschi: \'ab Giovanni, non fare il bischero; credi che si pu\'f2 essere accorti senza mancare n\'e8 al proprio dovere, n\'e8 alla propria dignit\'e0; e che la modestia imbecille dei nostri uomini di merito, non \'e8 che una scusa comoda alla porcheria dei guasta mestieri... \'bb \par Come poi sia andata, quella visita cos\'ec preparata dagli amici, s'\'e8 gi\'e0 letto con le parole del pittore. Ma le delusioni non erano finite. Il quadro di Villafranca va all'Esposizione di Torino; tutti arguivano che il quadro sarebbe stato acquistato; e invece, a esposizione chiusa, il quadro torn\'f2 indietro al pittore. Il Martelli, per dispetto e protesta, lo avrebbe voluto mettere all'incanto per cento lire, se non ci fosse stato il Fattori a calmarlo. \par Che cosa vorremmo dire con tutto questo? Niente altro di quel che ha gi\'e0 scritto Emilio Cecchi, e cio\'e8 che i pittori macchiaioli, di cui il Fattori ha fatto parte, sono vissuti in tempi meschini, e che l'ingiustizia del pubblico nei loro riguardi \'e8 stata grossa; e non la sola purtroppo. Dir no a un artista che non segue i modi consueti e fa pittura nuova, \'e8 molto pi\'f9 facile che sforzarsi di capire. \'c8 una storia che si ripete tante volte anche adesso. t vero che appoggiandosi a Degas, c'\'e8 chi dice che la vita difficile aguzza l'ingegno. Ma il guaio \'e8 che la vita difficile la fanno, sovente, solo i migliori. \par Giovanni Fattori, che \'e8 nato a Livorno il 6 settembre 1825, non fu, come si dice, un pittore precoce. Per trovare un dipinto che indichi in Fattori il raggiungimento senza incertezze di una misura poetica personale e non soltanto una inclinazione promettente, bisogna attendere il 1859, se \'e8 davvero di questa data la tavoletta dei Soldati francesi nel '59, con quegli azzurri e con quei bianchi cos\'ec aggiustati e sorprendenti. \par Le discussioni di quell'anno attorno al realismo, giunte al colino dopo il rientro da Parigi, dov'erano stati per l'Esposizione del '55, dell'Altarnura e del De Tivoli, che portavano una diretta conferma sul valore di quelle nuove ricerche cosi bene avviate dal gruppo dei pittori di Fontainebleau, col Rousseau e il Daubigny in testa; e quelle non meno accese per la \'ab macchia \'bb, cio\'e8 la tecnica pittorica che fu il modo cosi schiettamente toscano di attuare quella nuova visione del mondo reale, tanto toscano da potersi riallacciare, con le dovute proporzioni, nientemeno che ai chiari volumi geometrici e allo splendore crornatico da minerale del Beato Angelico, dopo di aver rintronato il fumoso retrobottega del Caff\'e8 Michelangelo di via Larga, a Firenze, ora via Cavour, gi\'e0 da qualche tempo erano uscite fuori a turbare i dotti silenzi delle vicine Accademie; e qualche eco di quella sedizione artistica era giunta alle altre citt\'e0 italiane, se si tien conto dell'arrivo a Firenze di artisti d'ogni parte: il Boldini da Ferrara, il De Nittis da Barletta, il Lega dalla Romagna, per indicare pochi nomi. \par I suoi colleghi macchiaioli, anche i pi\'f9 giovani di circa un decennio, come l'Abbati, il Borrani, il Signorini, lo stesso Sernesi, che nasce tredici anni dopo di lui, sono gi\'e0 pi\'f9 innanzi e convinti della strada presa. cos\'ec diversa da quella imperante della \'ab pittura di storia \'bb; e quelli della sua leva, il Costa, l'Altamura, il D'Ancona, il Cabianca, sono penino gia prossimi a mitigare i loro rigori polemici. Difatti il Signorini nel '62, come volgendosi indietro a giustificare quei focosi trascorsi, scrive che \'ab la macchia non fu altro che un modo troppo reciso del chiaroscuro e un effetto della necessit\'e0 in cui si trovarono gli artisti di allora di emanciparsi dal difetto capitale della vecchia scuola, la quale a un'eccessiva trasparenza dei corpi sacrificava la solidit\'e0 e il rilievo dei suoi dipinti \'bb. Come si \par vede, parlava gi\'e0 al passato remoto. Senza dire, e sarebbe stato un ripetersi, che la \'ab vecchia scuola \'bb, fra Benvenuti, Pollastrini, Bezzuoli e Mussini, con le sue fisime teoriche, ancora neoclassiche nonostante i travestimenti di sartoria romantica, di un bello assoluto e ideale da trasmettersi per dettato scolastico, impediva l'osservazione e la trascrizione diretta della realt\'e0 naturale e di condurre nell'arte gli uomini e le vicende della vita quotidiana. Ci furono, \'e8 vero, in seno alla stessa Accademia, tentativi di riforma a quella pedante esemplificazione di statuaria grecolatina; a Firenze il Bartolini, alla scuola di scultura, per rompere quei canoni di idealizzante estetismo giunse a collocare sulla pedana per modello un gobbo deforme. Ma si arriv\'f2 tutt'al pi\'f9 a cambiare le scene e i costumi delle epoche storiche: a vestire, cio\'e8, di corazze e giustacuori medioevali i personaggi che fino ad allora indossarono clamidi e pepli. \par Mentre la reazione poetica doveva essere portata in profondit\'e0, tanto pi\'f9 che da noi, in pittura, non ci fu nessun Delacroix, tanto meno un G\'e9ricault, a sciogliere nella pittura italiana di allora autentici spiriti romantici. Che la riforma avvenisse nello stanzone buio di quel Caff\'e8 fiorentino, non fa meraviglia, se si tien conto di ci\'f2 che scrisse il Signorini: \'ab Quel ritrovo d'artisti, dopo la restaurazione del govenm granducale, raccolse quasi tutti i pittori che avevano fatta la campagna di Lombardia nel '48 e la difesa di Venezia, di Bologna, di Roma nel '49; e fra tante cospirazioni risorgimentali, anche quella contro l'Accademia fu una conseguenza dei nuovi propositi di libert\'e0 \'bb; sicch\'e8 fu necessario a quei ribelli, come si apprende dalla penna di Diego Martelli, di reagire contro il soggetto e la storia antica, tanto erano immersi nella cronaca immediata, di detestare il protagonista di quelle storie, preferire il modo e il tempo presente, proclamare il vero unica e sola espressione del bello. \par Non \'e8 che il Fattori ignorasse il cenacolo artistico di quel Caff\'e8. Condotto a Firenze nel '46 dal padre perch\'e8 continuasse gli studi di pittura cominciati a Livorno col modesto Giuseppe Baldini, entr\'f2 nello studio privato e poi nella classe accademica del Bezzuoli. Ma nel '48 \'e8 in giro per le citt\'e0 toscane a distribuire manifesti clandestini e l'anno dopo, sia pure tenuto sotto chiave dalla madre, assiste all'assedio della sua citt\'e0 e alle fucilazioni che ne seguirono. \par Quindi al Caff\'e8 Michelangelo, quando vi compare, spira aria buona per lui e si trova fra amici. Ma se intende il senso di quelle discussioni artistiche, non sa come togliersi fuori dalle lezioni del maestro. Le sue prime opere ne sono difatti chiaramente dipendenti. \par L'Autoritratto del '54 e pi\'f9 l'Addio alla vita del '57, cos\'ec melodrammatico con la morente pallida pi\'f9 delle coltri su cui sta stesa e la monaca in nero che ne veglia il trapasso, non si discostano gran che da quell'esattezza disegnativa, da quel controllo delle velature pittoriche che il maestro insegna e raccomanda. La tela della Maria Stivada al campo di Crookstone, cos'\'e8 se non un quadro \'ab storico \'bb con tanto di gorgiere, corazze, olmi, stendardi? E porta la data del '59. Per\'f2 \'e8 giusto ammettere che c'\'e8 un'asciuttezza pittorica, un taglio di luce e di aria, una sobriet\'e0 di colore che preludono a certe sue prossime soluzioni davvero macchiaiole. Bisogna anche metterle accanto la tavoletta, pure del '59, degli Eccidi di Mantova, con tutti quei bianchi cos\'ec dosati fra il campeggiare dei rosa e degli azzurri, che il piccolo dipinto sembra un intarsio fitto di volumi addensati sopra una nuova prospettiva, determinata appunto al di fuori del solito impianto disegnativo e del solito sfumare di colori, ma dall'esattezza delle luci e dei rapporti di tono che nell'incastro serrato della macchia raggiungono in modo nuovo l'unit\'e0 compositiva (quasi geometrica) e l'unit\'e0 cromatica del dipinto. E il '59 sarebbe l'anno di quella tavoletta dei Soldati francesi, gi\'e0 indicata come sorprendente per quella stringatezza di verit\'e0 e di invenzione coloristica e compositiva. \par Ad aprire gli occhi al Fattori fu il romano Giovanni Costa, un pittore di testa quadra, che viaggi\'f2 la Francia e l'Inghilterra e fu amico di Corot. Di lui il Signorini scrisse che " esercit\'f2 pi\'f9 di ogni altro la sua influenza sulla pittura di molti di noi "; e il Cecioni aggiunse che \'ab la macchia in virt\'f9 dei lavori del Costa fece un passo avanti \'bb. \par A condurglielo nello studio, fu il fratello di Serafino De Tivoli. In una lettera del 1904, cos\'ec il Fattori descrive quella visita: \'ab ... Costa fu nel mio studio. Io allora lottavo fra il realismo macchia e il romanticismo. Costa esamin\'f2 con molta cura tutte le mie manifestazioni artistiche... Dopo si volt\'f2 a me e mi disse (testuale): tu hai un paro di c. cos\'ec (pensa all'atto delle mani) e aggiunse: t'embroiano! Vieni con me. Non lo lasciai pi\'f9. Facevo con lui delle passeggiate in campagna e stavo attento alle sue, dir\'f2 cos\'ec, lezioni. Amavo i suoi studi e i suoi quadri. Venne il concorso Ricasoli: " Gli episodi della guerra del '59 ". Dimandai a Costa se dovevo concorrere l\'ec sul canto del Duomo, di faccia a Falchetto. Disse: concord. Concorsi e vinsi, e il mio quadro La battaglia di Magenta, si pu\'f2 vedere qui alla Galleria Moderna. Sente della pittura del Costa ed \'e8 una prova come io amavo i suoi consigli. \'bb \par Dopo questo quadro del '60, Fattori difatti trova la sua forma pi\'f9 giusta. Anche quando nei ritratti della Cugina Argia del '61, o della Prima moglie del '63, o della Cognata del '65, si risente l'antica struttura bezzuoliana, c'\'e8 ormai una scioltezza d'occhio e di mano e una pungenza di osservazione commossa, introvabili negli altri colleghi macchiaioli. Il rapporto tra la fe \par dett\'f2 al vero e la trasfigurazione lirica \'e8 saldato in una immagine stilistica, che nel Ritratto della figliastra (1889) tocca la massima intensit\'e0: quel viso asciutto e protervo di popolana. e quella variet\'e0 modulata di un solo colore, il bianco. Verso il '60 Fattori aveva quindi inteso che la tessitura compositiva del dipinto doveva risultare dalla giustezza dell'intonazione cromatica; e la luce, pi\'f9 che avvolgere, doveva scandire, quasi sillabare, i volumi e le prospettive; e l'arte sua fissare le emozioni ricevute sul vero, restituito, que\'acsto, dal suo sguardo acuto e tranquillo, alla giusta spazialit\'e0 e sintesi di coloreluce. Che fu, appunto, una scoperta dei maggiori pittori toscani del Quattrocento. \par \'c8 in questa direzione che si svolge un quindicennio di lavoro felice di risultati. Si avverte una disposizione serena di dialogo con la natura, ogni cosa \'e8 vista in una luce da idillio, con nettezze formali quasi da incastro di pietre dure. Ecco i famosi dipinti della Signora all'aperto, della Rotonda di Palmieri, le Botti rosse, il Silvestro Lega che dipinge, il Pagliaio, i clue ritratti dei coniugi Martelli a Castiglioncello, gli Artiglieri in manovra con quel taglio orizzontale accentuato dal filo magrissimo di cielo soprastante, un filo d'azzurro appena, o la Torre del Marzocco sulla riva deserta del mare, quasi livida nella solitudine che la circonda, con un senso Ili interiore drammaticit\'e0 che vedremo rinascere, tanti decenni dopo, in certe spiagge versiliesi di Cardi. E ancora i Cavalli al sole, e La vedetta col muro bianco che squadra possente tutta la scena, i Barocci romani fermi nella canicola e ritagliati in nero, quasi scolpiti dalla sferza del sole. Si vede da tutta questa serie di opere come ormai il Fattori, di una visione pittorica, sapesse cogliere l'essenza. L'immagine gli nasce per semplificazione e con un timbro netto. Quella asciuttezza, quella risoluzione formale lasciano intravvedere, al di l\'e0 del fatto empirico di natura, una solida sostanza sentimentale, un severo ed esigente fondo morale. \par Una certa fama si era fatta attorno al suo nome dopo quel premio alla prima esposizione nazionale del '61 a Firenze; ed essa si accrebbe con gli altri premi del '68 per l'Assalto alla Madonna delle Scoperte, del '70 a Panna per il Principe Amedeo ferito a Custoza, con quelli di Londra e di Vienna del '73. Ma era una risonanza sbagliata, nel senso che si vedeva in lui piuttosto l'illustratore delle battaglie risorgimentali, alquanto scenografiche, in chiave ancora con certi canoni della \'ab pittura storica \'bb dei maestri accademici, che non il forte pittore realista e riformatore uscito dal gruppo degli artisti innovatori del Caff\'e8 Michelangelo. Su questa linea d'interpretazione del suo genio, \'e8 chiaro che scadesse del tutto la parte pi\'f9 cospicua del suo lavoro, cio\'e8 quelle tavolette di poche spanne, spesso fondi di scatole per sigari, dove l'artista fissava con intensit\'e0 poetica e vigore di forme pittoriche gli avvenimenti quotidiani, certi paesaggi marini o d'Appennino, con le tamerici schiomate dal vento, i buoi aggiogati, i pagliai gonfi sotto il sole, l'ombra trascolorata dei sottoboschi. Se quel quadro della Madonna delle Scoperte, che i suoi concittadini regalarono per sottoscrizione al museo della citt\'e0, gli ottenne il titolo di \'ab Professore corrispondente alla Regia Accademia di Belle Arti \'bb, tutte quelle medaglie \emdash perch\'e8 quelli erano tempi di premi in medaglie \emdash non bastarono a toglierlo dalla povert\'e0 che sempre lo afflisse, fino agli ultimi anni della sua vita. Quando nell'80 \emdash aveva gi\'e0 cinquantacinque anni \emdash ci si decise a chiamarlo \par all'insegnamento, gli diedero una soffitta, duecento- quaranta lire annue e una catasta di legna per la stufa. E fino all'ultimo fu soltanto un \'ab professore aggiunto \'bb e lo stipendio, a milleduecento lire, gli serviva proprio per non morire di fame. \par \'ab Voglio raccontarti, \'bb scrive nel '90 al Martelli, \'ab che ci fu all'Accademia Boito come ispettore. Visit\'f2 tutte le Scuole, pare che non restasse molto soddisfatto di una parte del sistema di insegnamento... Molto pi\'f9 lod\'f2 il mio ardire di lasciare la piena libert\'e0 allo scolaro, e farlo anche studiare all'aria aperta con il modello sotto gli alberi, e in mezzo ai fiori. Mi chiese come potevo io stare ai sistemi di quello che si fa nell'Accademia, che io mi prendevo una grave responsabilit\'e0 \emdash non risposi: che devo dirgli? \emdash la necessita lo vuole, quelle 93,60 al mese che ora non sono pi\'f9 100 mi servivano per il trattore. Ma a certi uomini si alto locali non si pu\'f2 mica dir tutto...)) \par Ardengo Soffici lo ricorda ancora, vecchio e gi\'e0 vicino a morire, in uno scompartimento di terza classe tra Firenze e Livorno, dove tornava spesso per trovarsi tra gli amici e soprattutto per recarsi in Maremma, lungo le spiagge a scogli e canneti di Castiglioncello, fra capanni di butteri, ciuffi di tamerisco e buoi ai pa- scolo nell'acqua marcia delle paludi. \par Gli amici, e specie il Martelli, si diedero da fare non poco per migliorare la sua situazione. Ma incon trarono sempre, oltre alla indifferenza superiore, la sua rustica ritrosia nel chiedere mi aiuto qualsiasi. Quella della visita del re e del mancato acquisto, non fu che una delle tante umiliazioni che il Fattori, sopravvissuto pi\'f9 a lungo sugli altrettanto sfortunati colleghi macchiaioli, tutti morti amareggiati e peggio. si era abituato a ricevere. " Mi piaci e ti lodo della tua fiera onesta. gli scrisse il Martelli, moriamo pure di fame, ma sempre sputando in faccia al destino. " \par 11 Martelli stava a Parigi ed era diventato amico di molti Impressionisti: \'e8 noto. per esempio, il ritratto che gli fece Degas. E proprio nella sua vicinanza con artisti e con una societ\'e0 di diversa levatura culturale, tanto maggiormente capiva le strettoie di cui pativano i suoi amici toscani. Non si finir\'e0 mai di hxlare questi artisti francesi; per converso non si finir\'e0 di dire tutto il male possibile della cultura ufficiale italiana di quel tempo, che non seppe riconoscere lo slancio puro ed energico degli artisti toscani; la stessa sorte sarebbe accaduta in altre regioni. in Piemonte col Fontanesi, in Lombardia col Ranzoni e il Cremona. o Disgraziatamente, \'bb scrisse Emilio Cecchi, o essi vivevano in un ambiente meschino, se non addirittura avverso: isolati, affamati: travolti infine sotto la bestialit\'e0 ufficiale. \'bb E quel ridursi a insegnare all'Accademia. poteva sembrare un gesto di rinuncia. una sconfitta proprio di chi, fieramente, si era sempre ribellato alla disciplina accademica per seguire la lezione della natura, l'onda dell'emozione sull'incontro fresco della mente col mondo reale. Mentre, quella, era soltanto un'ultima condizione per vivere; e Fattori non mancava mai di stimolare i suoi pochi allievi a tener gli occhi aperti fuori dall'aula sul mondo vivo: o Fate qualcosa che urti noi vecchi. \'bb \par Ma i critici che intorno al 1925 riportarono in luce e imposero al pubblico i Macchiaioli, presi dall'entusiasmo, li misero in gara con gli Impressionisti, per dedurre in pi\'f9 di un caso della precedenza e della superiorit\'e0 dei toscani: e fu un errore, anche se generoso. Naturalmente doveva sopravvenire una ridimen -sime di giudizio, pi\'f9 che giusta. Ma si \'e8 peccato, per gusto polemico, nell'imputare a quei nostri artisti di non aver inteso e seguito l'arte dei pittori impressionisti. Bisogna pur dire, intanto, che il confronto tra le due scuole non \'e8 possibile per le loro differenze esplicite: tutta intesa alla fluidit\'e0 del colore che si esalta nella luce di vibrazioni mobilissime, quella impressionista; attenta a uno spazio fermo e plastico, col colore in funzione di cotesta staticit\'e0 prospettica, quella macchiaiola. Inoltre, e in particolare, ogni artista va giudicato al filo della sua personalit\'e0 e nel grado con cui ha realizzato la sua condizione poetica; che non sipu\'f2 pretendere, nel fatto specifico, fosse per tutti, anche fuori di Francia, una condizione impressionistica. Il paragone con l'arte francese dovrebbe semmai, come disse ancora il Cecchi, far osservare come i toscani, attorno al '50, intesero e si immisero nella corrente naturalistica, dandovi quella interpretazione e quell'indirizzo che pi\'f9 rispondeva alle loro intime inclinazioni e a una remota formazione mentale sulla tradizione italiana. Essi riuscirono a chiudere con una fervida polemica la trista vicenda dell'esercitazione accademica, la copia dei monumenti antichi; ma nella ricerca di una verit\'e0 estetica che si accendeva nella visione del mondo naturale, degli orti di Pergentina, delle sponde del Mugnone e dell'Amo, delle spiagge deserte, dei pascoli appenninici, delle paludi maremmane, ognuno si ritagli\'f2 la sua verit\'e0, pi\'f9 incline al suo accento emotivo. E quello di Fattori, forte e rustico con una bruschezza e in fondo con un'aspra delicatezza di sentimento che nessuno dei suoi compagni ebbe in egual misura. Basterebbe osservare l'intima gentilezza che sostiene, tra forma e colore calibratissimi, le Signore in giardino o gli Orti al sole di primavera. La sua disponibilit\'e0 verso il vero di natura fu, in un primo tempo. portata a ghermire una visione ampia e sintetica, una struttura formale per semplici raffronti di piani spaziali e intarsi di colore limpido. \par Dopo 1'80 quella serenit\'e0 fidente nella natura e i suoi spettacoli si altera, il dialogo conosce battute dolenti. L'opera non gli nasce pi\'f9 con quell'entusiasmo e lo slancio gentile dei primi decenni. Per finire il Quadrato di Custoza gli occorrono cinque anni, e si nota la crescita faticosa sopra un'osservazione spicciola, fatta pi\'f9 di bravura che di convinzione. a Io sono scoraggiato, \'bb scrive a un amico nel '78, n perch\'e8 tutto quello che fo mi scontenta e mi noja, e nulla mi piace. \'bb La sua vita stessa, d'altronde, aveva conosciuto vicende dolorose, come la morte per tubercolosi di Settimia Vannucci, la prima moglie. E quell'indifferenza ostinata, quella povert\'e0 mordente gli pesavano sul cuore. Ma bisogna pensare a una trasformazione profonda del suo spirito, che medita con diverso accento sulla sorte umana e vede spegnersi. nell'incupirsi della sua visione, quelle luci da idillio, lasciare margine sempre pi\'f9 ampio a un senso di tragica chiusura. La natura, fino ad allora chiara di luci, felice nei suoi profondi silenzi estatici, diventa grave e ostile come nelle novelle di Verga. t su questo fondo intrecciato di amarezze e di riflessioni che nasce nella mente di Fattori la serie dei drammatici dipinti degli ultimi decenni: Lo staf fato con quel sangue che macchia la strada: dei Buoi al pascolo in una landa malarica; della Libecciata, della Marina plumbea, della Sosta in Maremma, del Buttero sulla neve, del Cavallo morto. Un brivido soffocato di tragedia rabbuia la sua visione; e un accentuarsi di problemi sociali si allea a questo tratto amaro e pessimistico. Senza dubbio essi dimostrano in Fattori un'apertura di coscienza sempre vigile sulle tristi vicende dell'uomo diseredato. Per\'f2 bisogna ammettere che sul piano creativo cotesta preoccupazione di contenuti umani si risolve spesso in una zona illustrativa. Allora nascono dipinti frammentari, dove emerge un certo grafismo insistito, una preoccu \par dove emerge un certo grafismo insistito, una preoccupazione di commento. Eppure trova ancora l'impeto per tracciare pezzi stupendi, come il cavallo impuntato nel dipinto della Marcatura dei torelli, il groviglio stopposo della vegetazione malarica della Campagna romana, e quel paesaggio sordo sulla disperazione del vecchio accanto al cavallo morto. \par Il senso di questo scoramento profondo ci \'e8 dato da un brano di lettera del 1904: a entrai nel mondo amando e credendo: finir\'f2 scoraggiato maledicendo... ogni anno che passa e il corpo si invecchia, una delusione si aggiunge al passato... l'idiota solo \'e8 felice \emdash nulla sa e nulla vuol sapere. \'bb Mori a Firenze il 30 agosto 1908. \par \par }